

La corretta indicazione nel modello UNICO dei redditi derivanti dai contratti di associazione in partecipazione presuppone un’analisi preliminare di alcuni aspetti particolari del contratto.
Nell’ambito delle imposte sui redditi, infatti, la fiscalità dell’associazione in partecipazione è costruita su una separazione netta che si basa essenzialmente sulla natura dell’apporto effettuato.
Per i contratti nei quali l’apporto è costituito da solo lavoro, il reddito percepito dall’associato ha natura di reddito di lavoro autonomo “non professionale” e la relativa remunerazione è deducibile dal reddito d’impresa dell’associante.
Diversamente, nei contratti nei quali l’apporto è diverso da opere e servizi, il reddito dell’associato ha natura di reddito di capitale (più precisamente, esso viene assimilato ai dividendi societari) e la relativa remunerazione è indeducibile dal reddito d’impresa dell’associante. Relativamente a questo caso, se ci si concentra sulla figura dell’associato persona fisica non imprenditore residente in Italia, per individuare il regime fiscale applicabile occorre ulteriormente distinguere tra contratti “qualificati” e contratti “non qualificati”. Si considerano qualificati, a norma dell’art. 47 comma 2 del TUIR, i contratti per i quali il valore dell’apporto (o più precisamente, come rilevato dalla circolare 26/2004 dell’Agenzia delle Entrate, il valore dell’apporto di capitale) è superiore al 25% del patrimonio netto contabile dell’associante risultante dall’ultimo bilancio approvato prima della stipula del contratto (soglia ridotta al 5% se l’associante è una società quotata). Se, però, l’associante è un’impresa (individuale o societaria) in contabilità semplificata, il contratto si considera qualificato se il valore dell’apporto è superiore al 25% della somma delle rimanenze finali di cui agli artt. 92 e 93 del TUIR e del costo fiscalmente riconosciuto dei beni ammortizzabili, al netto dei relativi ammortamenti. Di converso, si considerano “non qualificati” i contratti per i quali il valore dell’apporto non eccede le soglie sopra indicate.
Contratti “qualificati” tassati nel limite del 49,72%
Per i contratti qualificati, l’art. 47 comma 2 del TUIR prevede l’imponibilità delle remunerazioni nel limite del 49,72% dell’importo percepito (misura prevista per gli utili “post 2007”). I redditi percepiti dall’associato nel 2012 devono essere dichiarati nel rigo RL1 del modello UNICO 2013 PF: nella colonna 1 di tale rigo occorre indicare il codice “5”, se gli utili con i quali viene remunerato l’associato si sono formati dal 2008 in avanti, mentre nella colonna 2 viene indicato il 49,72% delle somme percepite, ovvero l’importo effettivamente imponibile con le aliquote IRPEF progressive (se l’impresa associante è residente in Italia non si compila la colonna 3, in quanto non vengono operate ritenute d’acconto).
Per i contratti “non qualificati”, invece, è prevista una ritenuta a titolo d’imposta del 20% sull’intero ammontare della remunerazione “lorda”, a norma dell’art. 27 comma 1 del DPR 600/73 (formalmente, la norma continua a fare riferimento alla previgente aliquota del 12,50%; l’art. 2 comma 6 del DL 138/2011, tuttavia, ha previsto in via generale che le ritenute e le imposte sostitutive sui redditi di capitale e sui redditi diversi di natura finanziaria, “ovunque ricorrano”, sono stabilite nella misura del 20% dal 1° gennaio 2012); va evidenziato che, a differenza dei dividendi “propriamente detti”, nell’ambito dei contratti di associazione in partecipazione assumono la veste di sostituti d’imposta obbligati al prelievo del 20% anche gli imprenditori individuali e le società di persone commerciali.
Essendo il reddito dei contratti non qualificati assoggettato a ritenuta a titolo d’imposta, l’associato non ha alcun obbligo di indicare i proventi nel modello UNICO.
Tornando, invece, ai contratti nei quali l’apporto è rappresentato da solo lavoro, le remunerazioni percepite devono essere dichiarate nel rigo RL27 per l’intero ammontare percepito nel periodo d’imposta (l’art. 54 comma 8 del TUIR prevede, infatti, che per tale tipologia di reddito non competa alcuna deduzione forfetaria). Nel successivo rigo RL31 vanno, invece, indicate le ritenute d’acconto subìte dall’associato, che l’associante sostituto d’imposta è tenuto ad operare nella misura del 20% a norma dell’art. 25 comma 1 del DPR 600/73. Come precedentemente riportato, per questa tipologia di contratti l’associante ha titolo a dedurre integralmente dal proprio reddito d’impresa gli utili spettanti all’associato, a norma dell’art. 95 comma 6 del TUIR, indipendentemente dall’iscrizione a Conto economico di tali remunerazioni.
Il contratto di associazione in partecipazione ha subìto rilevanti modifiche a seguito della L. 92/2012 (riforma del mercato del lavoro), volte ad individuare i casi di abuso nell’utilizzo di questo istituto, volendo mascherare con il contratto stesso altre tipologie di rapporto tra un committente e persone fisiche che svolgono una determinata prestazione. Pur con gli aggiustamenti e le restrizioni prodotte dal citato decreto, il contratto di associazione in partecipazione può continuare ad essere applicato in una serie piuttosto estesa di casi senza alcun timore di conversione in rapporto in lavoro subordinato.
Il contratto di associazione in partecipazione, disciplinato dagli articoli 2549-2554 c.c., è un contratto di scambio sinallagmatico, poiché sono previste prestazioni reciproche obbligatorie, e a carattere aleatorio, poiché la prestazione eseguita dall’associato potrebbe non essere remunerata se l’affare oggetto del contratto ha prodotto una perdita.
La L. 92/2012 , modificando direttamente l’articolo 2549 c.c., prevede due tipi di presunzioni, verificatesi le quali il rapporto viene convertito ex lege in lavoro subordinato:
– assoluta: il numero degli associati per ciascuna attività dell’associante non può essere superiore a tre;
– relativa: non è stato consegnato il rendiconto, oppure non vi è un’effettiva partecipazione agli utili, o infine la prestazione resa dall’associato non si qualifica per contenuti tecnici elevati o capacità tecnico-pratiche derivanti da rilevanti esperienze precedenti.
Detto ciò, va rimarcato che ancora sussistono numerose casistiche in cui le presunzioni di cui sopra non si applicano e, quindi, il contratto di associazione in partecipazione mantiene inalterata la sua validità. In primo luogo, è estraneo alle modifiche della L. 92/2012 il contratto di associazione in partecipazione in cui associato sia una società. Si ricorda che, mentre il ruolo dell’associante deve essere rivestito da un imprenditore, quello di associato può essere rivestito da chiunque, comprese persone giuridiche, in relazione alle quali è impossibile la conversione ex lege del rapporto da contratto di scambio a lavoro subordinato. Ciò anche nel caso in cui l’apporto dell’associato/società sia rappresentato da mere prestazioni. Va ricordato, altresì, che in tale situazione il reddito che si forma in capo all’associato/società è reddito di impresa anche se l’apporto è solo di lavoro. In secondo luogo, è estranea alle restrizioni della L. 92/2012 l’associazione in partecipazione in cui l’associato sia pure persona fisica, ma l’apporto sia di capitale. Al riguardo, si ricorda che le tipologie di apporto da parte dell’associato persona fisica sono sostanzialmente tre:
– mera opera: da questa tipologia deriva all’associato un compenso che forma reddito assimilato a lavoro autonomo;
– mero capitale: da questa tipologia deriva all’associato un compenso che forma reddito da capitale assimilato al dividendo;
– misto opera/capitale: da questa tipologia deriva all’associato un compenso che forma reddito da capitale.
Le restrizioni della manovra Fornero si applicano qualora “l’apporto dell’associato consista anche in una prestazione di lavoro”.
Da ciò emerge che, nel caso in cui l’apporto dell’associato sia caratterizzato da mero capitale, non si avrà alcuna conversione ex lege in rapporto di lavoro subordinato nemmeno se il numero degli associati fossero superiore a tre.
In terzo luogo, non si corre il rischio della conversione in lavoro subordinato laddove, nel contratto, sia stato stabilito un compenso in percentuale sugli utili, ma senza che si abbia alcun apporto. Questa casistica è prevista dall’articolo 2554 c.c., norma che, in realtà, denomina il negozio giuridico in questione con l’altro appellativo di cointeressenza agli utili. In questa tipologia contrattuale, un soggetto (cointeressato) assicura ad un altro (cointeressante) una partecipazione alle perdite della sua impresa, in cambio di un’uguale percentuale di partecipazione agli utili, ove questi ultimi fossero prodotti. L’assenza di qualunque apporto rende impossibile l’applicazione della previsione della L. 92/2012 in materia di conversione ex lege in rapporto di lavoro subordinato. Peraltro, l’assenza di un apporto implica conseguenze anche dal punto di vista tributario, poiché l’impresa cointeressante potrà dedurre il compenso spettante al cointeressato, dato che, in assenza di apporto, non si applica l’indeducibilità prevista dall’articolo 109, comma 9, lett. b) del TUIR. Dal punto di vista del cointeressato, il reddito ritratto è certamente di capitale, ma l’assenza di equity fa sì che la disciplina applicabile non sia quella del dividendo ex articolo 47 del TUIR (come nel caso dell’ordinaria associazione in partecipazione con apporto di capitale), ma quella “tradizionale” dell’articolo 45, cioè la tassazione per cassa dell’intero compenso ricevuto.