

Buoni pasto deduzione professionista e ditta individuale senza dipendenti
Non vi sono dati normativi e risoluzioni o circolari della Agenzia delle Entrate che stabiliscono la certezza che un professionista ed un Imprenditore individuale possa dedurre il costo di acquisto di buoni pasto utilizzati per se stesso nel caso in cui non abbia alcun dipendente o collaboratore.
La disciplina dei buoni pasto è stata definita dal DPCM 18.11.2005, relativo all’affidamento e gestione dei servizi sostitutivi di mensa.
In base al citato provvedimento, l’utilizzo da parte dell’imprenditore individuale o da parte del professionista del buono rappresenterebbe, pertanto, un uso improprio del documento stesso.
Si è dell’avviso che, in presenza di una fattura da parte della società emittente al professionista ovvero all’imprenditore individuale si possa escludere a priori la deducibilità dei buoni pasto.
La circostanza che il DPCM preveda l’attribuzione dei buoni pasto ai soli dipendenti sembra sufficiente ad escludere l’inerenza del costo effettivamente sostenuto.
Infatti secondo l’Agenzia delle Entrate (ris. 30.10.2006 n. 118), la disciplina del DPCM ha anche rilevanza fiscale, ma tale precisazione dovrebbe essere riferita essenzialmente al regime di non imponibilità in capo al dipendente di cui all’art. 51 co. 2 lett. c) del TUIR.
Anche se per completare l’argomento, parte della dottrina ha ritenuto che le spese per i buoni pasto che il professionista utilizza nell’ambito della propria attività vadano ricondotte alla fattispecie di cui all’art. 54 co. 5 del TUIR, con conseguente deducibilità al 75% dei relativi importi, nel limite del 2% dei compensi.
Il costo per l’acquisto del buono pasto, secondo l’Agenzia, rappresenterebbe il costo per l’acquisizione di un “servizio complesso”; a ben vedere, il buono pasto non è altro che un titolo che consente di identificare l’avente diritto alla somministrazione di alimenti e bevande, somministrazione che soggiace ai limiti più volte ricordati previsti dall’art. 54 co. 5 del TUIR e dall’art. 109 co. 5 del TUIR.
Si può quindi parlare di uno sforzo interpretativo diretto a sanare un intervento legislativo non troppo accurato che avrebbe finito per penalizzare situazioni (i buoni pasti concessi ai dipendenti) nelle quali l’inerenza non può essere posta in dubbio.
Ci si potrebbe peraltro interrogare sull’applicabilità al caso di specie di quanto affermato dalla circ. Agenzia delle Entrate 3.3.2009 n. 6 (§ 8), in base alla quale il limite del 75% non si applica alle spese sostenute dal datore di lavoro per l’acquisto di buoni pasto, dal momento che tali spese rappresentano il costo per l’acquisizione di un servizio complesso non riconducibile alla semplice somministrazione di alimenti e bevande.
In altri termini, la disciplina introdotta dal DL 112/2008 non opererebbe nel caso in esame, con la conseguenza che nel caso dei titolari di reddito di lavoro autonomo le predette spese sarebbero interamente deducibili in quanto tanto il limite del 75%, quanto il limite del 2% dei compensi si applicano alle spese relative a “somministrazione di alimenti e bevande”.
Appare quanto meno dubbio che tale ricostruzione possa essere avallata dall’Agenzia delle Entrate, atteso che l’interpretazione estensiva concessa dalla circ. 6/2009 nel caso di buoni pasto appare giustificata dalla circostanza che gli stessi vengono utilizzati dai lavoratori dipendenti.
In altri termini, il rapporto tra datore di lavoro e dipendente, improntato alla contrapposizione di interessi, garantirebbe il rispetto del principio di inerenza.
Per queste ragioni, ed presenza di un dato letterale orientato a limitare la deducibilità delle predette spese, l’Agenzia ha ritenuto di consentirne l’integrale deducibilità relativamente al caso dei buoni pasto attribuiti esclusivamente dal datore di lavoro.
In via incidentale, si può notare come, anche con riferimento al caso del datore di lavoro, il ragionamento dell’Agenzia sembra incontrovertibile.
In definitiva, per l’ assenza di chiarimenti ufficiali, non pare plausibile la tesi sostenuta in dottrina in base alla quale i costi in esame sono deducibili secondo le regole ordinarie, relative alla somministrazione di alimenti e bevande, non potendosi però escludere che l’Agenzia delle Entrate, in ragione dei limiti posti dal DPCM 18.11.2005 certamente disconoscerà la deduzione dei predetti costi.